Associare le parole cotoletta, risotto, ossobuco a Milano è abbastanza scontato. Meno immediato è, invece, collegare un nome già di per sé ostico, come quello di rostin negàa, alla tradizione culinaria meneghina. Eppure si tratta di un piatto talmente intriso di milanesità da aver guadagnato nel 2008 il marchio di denominazione comunale in quanto preparazione appartenente al quotidiano gastronomico che ruota intorno alla Madonnina.
La milanesità dei rostin negàa: la ricetta classica
Questo piatto è milanese. Si evince sia dal nome che combina due concetti culinari importanti nella cultura gastronomica locale (“rostin”, arrostino, e “negàa”, annegato), sia dagli ingredienti usati nella preparazione: burro e filetto di vitello legato all’osso. La ricetta originale prevede che i nodini di vitello vengano infarinati, rosolati in burro, pancetta a dadini e rosmarino; quindi sistemati in pirofila annegati in vino bianco secco e brodo, chiusi ermeticamente e infornati per una lenta cottura di almeno due ore che serve a rendere ancora più tenera la carne. A cottura ultimata, sono serviti con polenta, purè di patate o patate al forno.
Le casalinghe meneghine erano solite controllare i rostin negàa dopo un’ora di cottura per verificare se il brodo fosse consumato, in tal caso ne aggiungevano altro bollente per evitare che il piatto fosse troppo asciutto. Prima di iniziare a realizzare questo secondo è necessario che sia praticato un piccolo taglio sulla pellicina dei nodini e che questi siano legati con uno spago. La ricetta classica milanese prevede solamente il rosmarino come aroma, ma si possono tranquillamente aggiungere altre erbe come alloro, timo e salvia.
I rostin negàa sono uno dei modi più tipici e tradizionali per cuocere la carne di vitello, risalente a tempi molto antichi. Quando non c’era il forno i nodini venivano cotti nello stuin, un tegame basso in rame munito di coperchio che veniva posto tra le braci. La ricetta dei rostin riflette lo stile milanese in cucina, a partire dalla cottura.
La cucina milanese si caratterizza per l’esiguità dello spazio che privilegia le cotture prolungate e pazienti. Un nodino di vitello che in altre città si cuocerebbe in dieci minuti, alla griglia o in padella, a Milano si cuoce più di un’ora a fuoco bassissimo. È una questione di tecnica: il milanese non concepisce la cottura a gran fuoco o ad alta temperatura: ci tiene alla crosta rosolata e sa che la casseruola deve essere chiusa ermeticamente per non far disperdere i succhi della carne che sono contenuti nel recipiente per ammorbidire i tagli.
Oltre al fuoco bassissimo, alla cottura lunga e alla chiusura ermetica, i rostin necessitano di un altro accorgimento: ogni volta che si alza il coperchio per controllare, bisogna scolare l’acqua di condensazione nel recipiente perché i vapori della carne non si disperdano e lo stato di umidità duri a lungo. Da qui l’importanza nelle cucine milanesi di una volta dello stuin, una brasiera con coperchio che sigilla perfettamente il recipiente.
I rostin negàa chiedono il burro
Anche la realizzazione dei rostin negàa è in piena armonia con lo stile milanese: l’uso del burro come condimento lo dimostra. Il burro è il grasso per antonomasia della cucina meneghina. A volte condivide il suo primato con il lardo, ma si differenzia da quest’ultimo perché è più signorile e più adatto a una gastronomia borghese. Altro cult meneghino che ritorna nei rostin negàa è l’amore dei milanesi per la carne di vitello che viene ritenuta la più adatta allo stile di cottura che più amano. La carne di vitello si caratterizza per la percentuale di tessuti connettivi più alta rispetto al manzo. La cottura lunga scioglie i tessuti connettivi e forma la gelatina, sostanza che rende il sugo lucido e deliziosamente colloso, tipico del vitello ben cotto.
Fonte: www.sfizioso.it