Paella – Il piatto Valenciano che unisce il mondo e supera le differenze Non tutto, ma molto sulla paella valenciana: origini, storia e segreti
Non tutto, ma molto sulla paella valenciana: origini, storia e segreti
Forse non tutti sanno che la paella, piatto simbolo della cucina spagnola nel mondo, è nata a Valencia e che la ricetta originale non è né quella ” de mariscos” (ovvero di pesce) e né quella mista (di carne e di pesce), bensì quella a base di carne e verdure. Ma quali sono gli ingredienti esatti e come si prepara l’autentica paella valenciana? Prima di svelarvi la ricetta, vi voglio raccontare però la sua origine e alcune curiosità.
L’origine del nome paella – che in spagnolo significa padella – deriva appunto dal tegame con cui viene preparato questo piatto. La paella originale è in ferro, ha il fondo piatto e il bordo di pochi centimetri e generalmente è smaltata di nero con piccoli puntini bianchi. Ne esistono di diversi diametri: si va da quella di 30 cm – che va bene per preparare una paella per 2 o 3 persone – a quella di 80 cm di diametro con cui è possibile preparare invece una paella per 40 persone. Prima e dopo il suo utilizzo andrebbe unta con olio d’oliva per evitare che si arrugginisca.
Quando è nata la paella valenciana? Probabilmente tra il XV e XVI secolo quando contadini e pastori, per necessità di un pranzo facile da trasportare e con ingredienti del territorio, inventarono questo piatto a base di pollo, coniglio, pomodori, fagioli e riso. Proprio quest’ultimo rappresentò fin da subito l’ingrediente principale di cui si poteva disporre in abbondanza dato che veniva coltivato nelle risaie intorno a Valencia.
Cucinare la paella rappresenta un momento conviviale e di socialità per famiglia e amici, un vero e proprio rituale da compiere in genere per il pranzo della domenica e possibilmente all’aperto, se si ha lo spazio e la giusta attrezzatura. Secondo la tradizione infatti, l’autentica paella valenciana va cucinata all’aria aperta e alla brace, su fuoco di legna d’arancio, in grado di conferire alla “paella” un certo aroma inconfondibile oltre a garantirne una giusta cottura. In alternativa, il sistema più utilizzato all’aperto è una serpentina circolare e a gas per distribuire il calore in modo uniforme a tutta la padella.
Naturalmente se non abbiamo la possibilità di cucinare la paella valenciana nel modo tradizionale, non disperatevi! Potrete sempre utilizzare il fornello (o il più ampio) centrale della cucina a gas, ma mi raccomando: non preparatela mai su un fornello a induzione perché il risultato sarebbe davvero deludente!
Molto importanti per la buona riuscita del piatto sono anche gli ingredienti. Il riso che si utilizza deve essere necessariamente a chicco medio, mai lungo, e deve provenire dalle risaie intorno a Valencia. Stiamo parlando insomma del arroz de Valencia D.O., un prodotto a denominazione di origine del quale esistono più varietà: Japónica, Senia, Bahía, Albufera e Bomba, ognuno con caratteristiche (dimensione del chicco, durezza, amido…) e cotture differenti.
Quando si versa il riso nella paella, la regola è quella di metterne uno strato sottile in modo che cuocia correttamente e soprattutto è fondamentale che non venga mai mescolata. Sapete perché? Semplice! Il riso rilascerebbe amido diventando più cremoso e così il piatto perderebbe una delle sue caratteristiche principali, ovvero la croccantezza.
Come già vi accennavo all’inizio, esistono numerose varianti della paella. Oltre a quella valenciana a base di carne e pollo, esiste anche quella di pesce oppure quella mista di carne e pesce, quella al nero di seppia, quella vegetariana e anche una versione che in realtà paella non è, o meglio si prepara con la stessa padella e gli stessi ingredienti e procedimento, ma al posto del riso viene usata una pasta: i fideos. Sto parlando della cosiddetta fideuà, che si dice sia nata a bordo di un peschereccio a largo di Gandía (Valencia). La storia narra che il comandante della nave andasse così pazzo per un riso cotto nel brodo di pesce – una specie di paella che gli preparava il cuoco di bordo – che ne mangiava a grandi quantità e spesso non ne rimaneva per il suo equipaggio. Così il cuoco pensando che il comandante trovasse meno appetitoso lo stesso piatto preparato con la pasta, la sostituì al riso. Ma l’effetto fu inaspettato: al comandante piacque tanto e in breve tempo questo piatto nato in cambusa si diffuse anche nella terraferma.
A queso punto, se vogliamo avventurarci nella conoscenza di questo rito culinario, dobbiamo farlo bene. Ecco quindi il decalogo della paella condivisa.
La paella è come una scatola di formaggi in porzioni. Si procede dal bordo inclinato verso il centro, rispettando scrupolosamente il taglio del vicino.
I commensali devono essere distribuiti intorno alla paella in modo equidistante e accessibile; meglio alternare i grandi mangiatori a persone con meno appetito.
La paella si mangia con il cucchiaio. Se è di legno ben levigato, ancor meglio.
L’aggiunta di qualche goccia di limone è un diritto, anche se poco accettato dai puristi. L’importante è avere l’approvazione dei vicini.
Il pasto inizia dopo il riposo obbligatorio del riso, e la proclamazione tradizionale del patriarca.
Se la paella è buona, è tradizione lodare il cuoco continuamente ogni due cucchiai, per tutto il pasto.
Se un pezzo di carne esce dalla paella non può ritornarvi, in nessun caso e in nessuna forma.
Appoggiare il cucchiaio sul bordo della padella significa abbandonare il campo. Il posto liberato è di competenza del più vicino.
E Buon Appetito!